I Dati

DATI FEMMINICIDIO 2000-2016

Secondo il IV Rapporto sul femminicidio in Italia elaborato dall’Istituto EURES Ricerche Economiche e Sociali e redatto a novembre 2017, in relazione alla distribuzione del fenomeno per area geografica, è il Nord a detenere il primato con 1.332 femminicidi (il 46,8% del totale) contro i 966 del Sud (34,0%) e i 346 del Centro (19,2). La Lombardia si pone come regione maggiormente colpita con 471 casi pari al 16,6% del totale, seguita da Campania (282 casi pari al 9,9%) e Lazio (232 casi pari all’8,2%). La Sardegna è dodicesima con 79 casi pari al 2,8%. 

All’interno della lettura del femminicidio, è l’ambito familiare e delle relazioni affettive a confermarsi il contesto più a rischio per le donne, concentrando complessivamente il 71,6% del totale delle vittime (2037 sulle 2844 complessivamente censite). L’incidenza più elevata è stata registrata negli ultimi tre anni (77,3% nel 2014, 78,2% nel 2015 e 76,7% nel 2016). Disaggregando i dati del femminicidio familiare per area geografica, la Lombardia è la regione maggiormente interessata al fenomeno (344 casi pari al 16,9%) seguita da Emilia Romagna(177 casi pari all’8,7%) e Piemonte (176 casi pari all’8,6%). In termini relativi, rapportando il numero dei femminicidi familiari alla popolazione femminile residente, la Sardegna è la seconda regione più a rischio, preceduta soltanto dalla Liguria.

All’interno del femminicidio familiare, la coppia rappresenta la relazione più a rischio per la donna, con 1.353 donne uccise dal proprio coniuge/ex coniuge/convivente/ex convivente/partner o ex partner dal 2000 al 2016.  In particolare, oltre un quarto dei femminicidi di coppia (il 25.5%) è stato agito da un ex coniuge o un ex partner (345 vittime negli ultimi 17 anni), mentre il minor numero  di femminicidi di coppia si registra quando l’autore è il partner o l’amante, ovvero in una relazione non caratterizzata da convivenza o da un legame assiduo (complessivamente 132 vittime tra il 2000 e il 2016, pari al 9,8% dei femminicidi di coppia).  Dopo la relazione coppia sono i c.d. omicidi “verticali” ad assumere un ruolo centrale nella dinamica omicidiaria familiare, ovvero quelli che interessano la relazione madre/figlio. Nella prevalenza dei casi sono le madri ad essere uccise dai figli (263 matricidi tra il 2000 e il 2016, pari al 12,9%) a fronte di 175 figlicidi femminili. Decisamente più marginali risultano invece i c.d. femminicidi familiari “orizzontali” ovvero i fratricidi.

Una variabile di centrale importanza nello studio e nella comprensione del fenomeno del femminicidio all’interno dell’ambito familiare è data dal movente che spinge gli autori a compiere tale gesto, pur ricordando l’evidente difficoltà di catalogare all’interno di un’univoca e definita categoria un comportamento in realtà derivante da un’ampia serie di concause, condizioni ed eventi interni ed esterni ai soggetti coinvolti. Sono i cosiddetti femminicidi “del possesso” determinati dall’incapacità dell’uomo di accettare la decisione da parte della donna di interrompere una relazione o di non volerla ricostruire, accanto ad una folle gelosia, a registrare il numero più elevato di casi (603 dal 2000 al 2016, pari al 31,8% del totale). Il secondo gruppo di moventi che “spiegano” il femminicidio all’interno dell’ambito familiare riguarda la sfera del conflitto quotidiano, fatta di liti e dissapori esasperati spesso dalla convivenza (414 casi dal 2000 al 2016, pari al 21,8% del totale). Il terzo gruppo di moventi riguarda l’ampia sfera del disagio, presente in oltre un quarto dei casi censiti come disturbo psichico dell’autore (16,1%) o come malattia o marginalità estrema della vittima (9,3%).

Uscendo dal contesto familiare, delle 807 donne assassinate negli ultimi 17 anni 396 sono state uccise dalla criminalità (13,9%), 240, pari all’8,4%, nel contesto di “relazioni di prossimità” (ad opera di conoscenti o all’interno di gruppi amicali, di vicinato, per questioni economiche e di lavoro) e 171 in altri ambiti (6% ad opera di serial killer, sette religiose/sataniche, omicidi di accudimento/custodia).

 

 

 

DATI FEMMINICIDIO 2015-2016

In una prospettiva di breve periodo, la caratterizzazione fortemente familiare dei femminicidi tende a confermarsi e a rafforzarsi nel tempo, superando nel biennio 2015/2016 la percentuale degli anni precedenti. Nel 2016, per esempio, i femminicidi avvenuti nel contesto familiare o relazionale sono stati il 76, 7% del totale e nel 2015 addirittura il 78,2%, contro il 77,3 del 2014, il 68, 2% del 2013 e il 66,9% del 2012.

Nel biennio 2015/2016 si è assistito a un’inversione di tendenza a livello territoriale: mentre nel 2015 era il Sud a concentrare nel proprio territorio la prevalenza delle vittime (con 62 casi contro i 61 del Nord), nel 2016 è il Settentrione a detenere il primato di area più interessata al fenomeno con ben 78 femminicidi contro i 46 del Sud.

Riguardo alla Sardegna è da segnalare che il numero dei femminicidi è più che raddoppiato nel 2016 rispetto al 2015: da 2 soli casi del 2015 si è passati a 5 casi nel 2016. Dopo la Liguria, è la regione che in Italia ha fatto registrare la maggiore variazione da un anno all’altro.

In relazione alle caratteristiche anagrafiche delle vittime, i dati dimostrano come esista una maggiore esposizione al rischio vittimogeno tra i soggetti più vulnerabili, ovvero le donne anziane: i femminicidi con vittime di 65 o più anni, pari nel 2016 a 45, rappresentano infatti il 30% di quelli complessivamente censiti nell’anno, con un incremento del 7,1% rispetto al 2015, registrando, anche in termini relativi, il valore più elevato (con 5,9 femminicidi per milione di donne di questa fascia di età, contro un valore complessivo pari a 4,8).

In termini relativi, la seconda fascia anagrafica “più a rischio” tra le donne è quella delle 25-34enni (con 19 vittime, pari al 12,7% e un indice pari a 5,7), tra le quali risultano maggiormente diffusi i cosiddetti omicidi “del possesso” (all’interno delle coppie unite o separate), o gli omicidi di criminalità comune a sfondo sessuale.

Seguono le 45-54enni (con 25 vittime, pari al 16,7% e un indice di rischio di 5,1), le 35-44enni (22 vittime e un indice pari a 5) e le 55-64enni (20 vittime e un rischio pari a 4,9). Il rischio vittimogeno risulta invece significativamente inferiore al valore medio tra le minorenni (14 vittime e un indice di 2,9), soprattutto vittime di figlicidi, e le 18-24enni (5 vittime e un rischio pari a 2,5 vittime ogni milione di donne di quella fascia anagrafica).

Complessivamente l’età media delle vittime di femminicidio nel 2016 risulta pari a 50,1 anni, registrando un leggero calo rispetto al 2015 (quando l’età media delle 142 vittime era di 51,6 anni), ma una forte crescita rispetto ai valori degli anni precedenti.

Anche la condizione professionale si correla al rischio vittimogeno delle donne: una situazione di marginalità sociale o economica, generalmente derivante dalla mancata partecipazione al mercato del lavoro, rappresenta infatti un fattore di rischio, tanto più laddove si trasforma in isolamento, dipendenza e perdita delle reti sociali: nel 2016 ben il 63% delle vittime di femminicidio risulta infatti non occupata, mentre soltanto il 37% svolge un’attività lavorativa; tale distribuzione si riscontra con valori praticamente identici anche nel 2015, con il 63,2% delle vittime in condizione non professionale al momento dell’omicidio, a fronte del 36,8% di vittime occupate, connotandosi dunque come una condizione sempre più “strutturale” del fenomeno.

Coerentemente con la forte incidenza di vittime anziane, la prevalenza dei femminicidi nel 2016 ha come vittima una pensionata (32 in valori assoluti, pari al 26,9% delle vittime totali); significativa, inoltre, la quota delle disoccupate e delle casalinghe (22, pari al 18,5%), seguite dalle prostitute (7 vittime, pari al 5,9%). Considerando invece le sole occupate si rileva una situazione di forte trasversalità, risultando le impiegate le vittime più frequentemente colpite nel 2016 (14, pari all’11,8% del totale), seguite dalle domestiche/colf/badanti e dalle lavoratrici autonome/imprenditrici (8 vittime per ciascuna categoria, pari al 6,7%). Le insegnanti uccise nel 2016 sono state 4 e 3 le dottoresse/infermiere. Tra le vittime di cui si dispone dell’informazione relativa all’attività professionale si contano infine 2 operaie e una lavoratrice precaria.

In relazione alla nazionalità, va osservato come oltre un quarto delle donne uccise nel 2016 (38 vittime, pari al 25,3%) risulti di nazionalità non italiana.  Le vittime straniere hanno registrato nell’ultimo anno un forte incremento (+40,7%) passando da 27 nel 2015 a 38 nel 2016. In relazione invece all’autore del reato e concentrando l’attenzione sul 2016, le 135 vittime di femminicidio di cui l’autore è noto sono state uccise nel 77,8% dei casi da un italiano e nel 22,2% da uno straniero. Più in particolare le 102 vittime italiane sono state uccise da un connazionale nel 93,1% dei casi e da uno straniero nel 6,9% (6 vittime in valori assoluti); diversamente le 33 vittime di omicidio straniere (il cui autore è “noto”) sono state uccise in ben il 30,3% dei casi da un italiano (10 vittime in valori assoluti), risultando invece il 69,7% di questi femminicidi di tipo “etnico” (23 in valori assoluti), in presenza di un autore anch’esso straniero, in molti casi dello stesso Paese di origine della vittima.

Considerazioni interessanti riguardo al 2016 vengono dalla disaggregazione per area geografica dei dati relativi al movente: mentre al Nord e al Centro i femminicidi “di possesso” risultano prevalenti, al Sud è la conflittualità quotidiana a “spiegare” i femminicidi familiari.